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Latini, Brunetto
La rettorica

Argomento 1

Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se lla copia del dicere e lo sommo studio della eloquenzia àe fatto più bene o più male agli uomini et alle cittadi; però che quando io considero li dannaggii del nostro comune e raccolgo nell'animo l'antiche aversitadi delle grandissime cittadi, veggio che non picciola parte di danni v'è messa per uomini molto parlanti sanza sapienza.

Qui parla lo sponitore.

SPONITORE

Rettorica èe scienzia di due maniere: una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel suo libro; l'altra insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò così del tutto apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel processo del libro, in suo luogo e tempo come si converrà.

Rettorica s'insegna in due modi, altressì come l'altre scienzie, cioè di fuori e dentro. Verbigrazia: Di fuori s'insegna dimostrando che è rettorica e di che generazione, e quale sua materia e llo suo officio e le sue parti e lo suo propio strumento e la fine e lo suo artefice; et in questo modo trattò Boezio nel quarto della Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si dimostra che ssia da ffare sopra la materia del dire e del dittare, ciò viene a dire come si debbia fare lo exordio e la narrazione e l'altre parti della dicieria o della pistola, cioè d'una lettera dittata; et in ciascuno di questi due modi ne tratta Tulio in questo suo libro. Ma in perciò che Tulio non dimostrò che sia rettorica né quale è 'l suo artefice, sì vuole lo sponitore per più chiarire l'opera dicere l'uno e l'altro.

Et èe rettorica una scienzia di bene dire, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi sapemo ornatamente dire e dittare. Inn altra guisa è così diffinita: Rettorica è scienzia di ben dire sopra la causa proposta, cioè per la quale noi sapemo ornatamente dire sopra la quistione aposta. Anco àe una più piena diffinizione in questo modo: Rettorica è scienza d'usare piena e perfetta eloquenzia nelle publiche cause e nelle private; ciò viene a dire scienzia per la quale noi sapemo parlare pienamente e perfettamente nelle publiche e nelle private questioni; e certo quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua diceria mette parole adorne, piene di buone sentenzie. Publiche questioni son quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna cittade o comunanza di genti. Private sono quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna spiciale persona. E ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore che queste parole sopra 'l dittare altressì come sopra 'l dire siano, advegna che tal puote sapere bene dittare che non àe ardimento o scienzia di profferere le sue parole davanti alle genti; ma chi bene sa dire puote bene sapere dittare.

Avemo detto che è rettorica, or diremo chi è lo suo artefice: dico che è doppio, uno è «rector» e l'altro è «orator». Verbigrazia: Rector è quelli che 'nsegna questa scienzia secondo le regole e' comandamenti dell'arte. Orator è colui che poi che elli àe bene appresa l'arte, sì ll'usa in dire et in dittare sopra le quistioni apposte, sì come sono li buoni parlatori e dittatori, sì come fue maestro Piero dalle Vigne, il quale perciò fue agozetto di Federigo secondo imperadore di Romae tutto sire di lui e dello 'mperio. Onde dice Vittorino che orator, cioè lo parlatore, è uomo buono e bene insegnato di dire, lo quale usa piena e perfetta eloquenzia nelle cause publiche e private.

Ora àe detto lo sponitore che è rettorica, e del suo artifice, cioè di colui che lla mette in opera, l'uno insegnando l'altro dicendo. Omai vuole dicere chi è l'autore, cioè il trovatore di questo libro, e che fue la sua intenzione in questo libro, e di che tratta, e lla cagione per che lo libro è fatto e che utilitade e che tittolo à questo libro. L'autore di questa opera è doppio: uno che di tutti i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicero, il più sapientissimo de' Romani. Il secondo è Brunetto Latino cittadino di Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ciò che Tulio avea detto; et esso è quella persona cui questo libro appella sponitore, cioè ched ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e de' filosofi e maestri che sono passati, il libro di Tulio, e tanto più quanto all'arte bisogna di quel che fue intralasciato nel libro di Tulio, sì come il buono intenditore potràe intendere avanti.

La sua intenzione fue in questa opera dare insegnamento a colui per cui amore e' si mette a ffare questo trattato de parlare ornatamente sopra ciascuna quistione proposta.

Et e' tratta secondo la forma del libro di Tulio di tutte e V le parti generali di rettorica. Verbigrazia: Inventio, cioè trovamento di ciò che bisogna sopradire alla materia proposta; e dell'altre IIIJ secondo che sono nel secondo libro che Tulio fece ad Erennio suo amico, sopra le quali il conto dirà ciò che ssi converrà.

La cagione per che questo libro è fatto si è cotale, che questo Brunetto Latino, per cagione della guerra la quale fue tralle parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte guelfa, la quale si tenea col papa e colla chiesa di Roma, fue cacciata e sbandita della terra. E poi si n'andò in Francia per procurare le sue vicende, e là trovò uno suo amico della sua cittade e della sua parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande senno, che lli fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'appellava suo porto, sì come in molte parti di questo libro pare apertamente; et era parlatore molto buono naturalmente, e molto disiderava di sapere ciò che ' savi aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore questo Brunetto Latino, lo quale era buono intenditore di lettera et era molto intento allo studio di rettorica, si mise a ffare questa opera, nella quale mette innanzi il testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua scienzia e dell'altrui quello che fa mistieri.

L'utilitade di questo libro è grandissima, però che ciascuno che saprà bene ciò che comanda lo libro e l'arte, sì saprà dire interamente sopra la quistione apposta.

Il titolo di questo libro, sì come davanti appare nel cominciamento, si è cotale: Qui comincia lo 'nsegnamento di rettorica, il quale è ritratto in volgare de' libri di Tulio e di molti filosofi. E che lo titulo sia buono e perfetto assai chiaramente si dimostra per effetto d'opera, ché sanza fallo recato è in volgare il libro di Tulio e messo avanti in grossa lettera, sì come di maggiore dignitade, e poi sono recati in lettera sottile e' ditti di molti filosofi e llo 'ntendimento dello sponitore. E in questo punto si parte elli da questa materia e ritorna al propio intendimento del testo.

In questa parte dice lo sponitore che Tulio, vogliendo che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale al suo tempo era avuta per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi, nel quale purgò quelle cose che pareano a llui gravose. Che sì come dice Boezio nel comento sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia dee prima purgare ciò che pare a llui che sia grave, e così fece Tulio, che purgò tre cose gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire; apresso la sentenzia di Platone, e poi la sentenzia d'Aristotile. La sentenzia di Platone era che rettorica non è arte, ma è natura per ciò che vedea molti buoni dicitori per natura e non per insegnamento d'arte. La sentenzia d'Aristotile fue cotale, che rettorica è arte, ma rea, per ciò che per eloquenzia parea che fosse avenuto più male che bene a' comuni e a' divisi.

Onde Tulio purgando questi tre gravi articoli procede in questo modo: Che in prima dice che sovente e molto àe pensato che effetto proviene d'eloquenzia. Nella seconda parte pruova lo bene e 'l male che 'nde venia e qual più. Nella terza parte dice tre cose: in prima dice che pare a llui di sapienzia; apresso dice che pare a llui d'eloquenzia; e poi dice che pare a llui di sapienzia et eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì mette le pruove sopra questi tre articoli che sono detti, e conclude che noi dovemo studiare in rettorica, recando a cciò molti argomenti, li quali muovono d'onesto e d'utile e possibile e necessario. Nella quinta parte mostra Tulio di che e come elli tratterà in questo libro.

Et poi che Tulio nel suo cuminciamento ebbe detto come molte fiate e lungo tempo avea pensato del bene e del male che fosse advenuto, immantenente dice del male per accordarsi a' pensamenti delli uomini che ssi ricordano più d'uno nuovo male che di molti beni antichi; e così Tulio, mostrando di non ricordarsi delli antichi beni, s'infigne di biasmare questa scienzia per potere più di sicuro lodare e difendere. Et per le sue propie parole che sono scritte nel testo di sopra potemo intendere apertamente che in queste medesime parole ove dice che i mali che per eloquenzia sono advenuti e che non si possono celare, in quelle medesime la difende abassando e menimando la malizia. Ché là dove dice «dannaggi» sì suona che siano lievi danni de' quali poco cura la gente. Et là dove dice «del nostro comune» altressì abassa del male, acciò che più cura l'uomo del propio danno che del comune; e dicendo «nostro comune» intendo Roma, però che Tulio era cittadino di Roma nuovo e di non grande altezza; ma per lo suo senno fue in sì alto stato che tutta Romasi tenea alla sua parola, e fue al tempo di Catellina, di Pompeio e di Julio Cesare, e per lo bene della terra fue al tutto contrario a Catellina. Et poi nella guerra di Pompeio e di Julio Cesare si tenne con Pompeio, sicome tutti ' savi ch'amavano lo stato di Roma; e forse l'appella nostro comune però che Romaèe capo del mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove dice «l'antiche adversitadi» altressì abassa il male, acciò che delli antichi danni poco curiamo. Et là dove dice «grandissime cittadi» altressì abassa 'l male, però che, sì come dice il buono poeta Lucano, nonn è conceduto alle grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che lle grandissime cose rovinano per lo peso di sé medesime. Et così non pare che eloquenzia sia la cagione del male che viene alle grandissime cittadi. Et là dove dice che danni sono advenuti per uomini molto parlanti sanza sapienzia, manifestamente abassa 'l male e difende rettorica, dicendo che 'l male è per cagione di molti parlanti ne' quali non regna senno; e non dice che 'l male sia per eloquenzia, ché dice Vittorino: «Questa parola eloquentia suona bene, e del bene non puote male nascere». Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare, et accusare quando pare che dica lode. Et questo modo di parlare àe nome «insinuatio», del quale dicerà il libro in suo luogo. Et qui si parte il conto da quella prima parte del prologo nella quale Tulio àe detto il suo pensamento et àe detto li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenzia.