Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina | Vai alla colonna di sinistra

Colonna con sottomenu di navigazione


immagine Dante

Contenuto della pagina


-
Menu di navigazione

Latini, Brunetto
La rettorica

Argomento 102. Di fare l'uditore intento.

TULLIO

Intenti li faremo dimostrando che in ciò che noi diremo siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle cose toccano a tutti o a coloro che ll'odono o ad alquanti uomini illustri, ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi profferremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi proporremo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori.


SPONITORE

Avendo Tullio dato intero insegnamento d'acquistare la benivolenza di quelle persone davante cui noi proponemo le nostre parole, sì che l'animo s'adirizzi et invii in piacere di noi e della nostra causa e che siano contrarii e malevoglienti a' nostri adversarii, sì vuole Tullio medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi potemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel cominciamento del nostro dire, fare intenti coloro che noi odono, sì che vogliano achetare i loro animi e stare a udire la nostra diceria; e di questo potemo noi fare in molti modi de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili casi. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna persona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio cominciamento dico ch'io voglia trattare di cose grandi e d'alta materia, sì come fece il buono autore recitando la storia d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento: «Io diviserò e conterò così alto convenente come di colui che conquistò il mondo tutto e miselo in sua signoria». Altressì fie inteso s'io dico ch'io voglia trattare di cose nuove e contare novelle e dire ch'è avenuto o puote advenire per le novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina: «Poi che lla forza del comune è divenuta alle mani della minuta gente et in podere del populo grasso, noi nobili, noi potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile populo sanza onore e sanza grazia e sanza autoritade». Altressì fie intento s'io dico ch'io voglia trattare di cose non credevoli, sì come 'l santo che disse: «Il mio dire sarà della benedetta donna la quale ingenerò e parturio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti e poi»; la quale è cosa non credevole, perciò che pare essere contra natura. Et sì come diceano i Greci: «Non era cosa da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che venisse 'n essa terra a rapire Elena». Altressì fie intento s'io dico che 'l convenente sopra 'l quale dee essere il mio parlamento a tutti tocca od a coloro che ll'odono, sì come disse Cato parlando della congiurazione di Catellina: «Congiurato ànno i nobilissimi cittadini incendere e distruggere la patria nostra, e 'l lor capitano ne sta sopra capo. Adunque dovete compensare che voi dovete sentenziare de' crudelissimi cittadini che sono presi dentro nella cittade». Altressì fie intento s'io dico che lla mia diceria tocca ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio e d'alta nominanza intra lle genti sì come disse Pompeio parlando della battaglia civile: «Sappiate che l'arme de' nemici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato». Altressì fie inteso s'io dico che lle mie parole toccano a' dei, sì come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo di fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di sopra potrebbero omai trarre il populo delle sue mani». Altressì fie intento s'io dico nel principio di dire la mia causa brevemente et in poche parole, sì come disse il poeta per contare la storia di Troia: «Io dirò la somma, come Elena fue rapita per solo inganno e come Troia per solo inganno fue presa et abattuta». Altressì fie intento s'io nel mio exordio propongo la giudicazione una o più, cioè quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: «Io proverò che giustamente uccisi la mia madre, imperciò che dio Apollo il mi à comandato, perciò che uccise il mio padre». Et di tutti modi per fare l'uditore intento potemo noi colliere exempli in queste parole che disse Tullio a Cesare parlando per Marco Marcello: «Tanta mansuetudine e così inaudita e non usata pietade e così incredebile e quasi divina sapienzia in nessuno modo mi posso io tacere né sofferire ch'io non dica». Et poi che Tullio à pienamente insegnato come per le nostre parole noi potemo fare intento l'uditore, sì dirà come noi il potemo fare docile.