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Guittone d'Arezzo
Rime

XXXI

Il più grave errore sta nel non credere in Dio e nella vita futura.

Poi male tutto è nulla inver peccato,
e peccato onne parvo inver d'errore,
e onne error leggero, al viso meo,
ver non creder sia Deo,
né vita, appresso d'esta, a pena o merto;
come di peccati altri aggio parlato,
dispregiando e lungiando essi d'amore,
mi soduce disio, e punge or manto,
in male tale e tanto
metter consiglio alcun leale e certo,
a dimostrare aperto
lo grande errore a chi vis'ha, ché veggia
per ragion chiara e nova
e per decevel prova
dei soi stormenti e testimon ver molti.
Ma non del mio saver dico già farlo,
ma del suo, per cui parlo;
ché la sua gran mercé sper mi proveggia
ed amaestri e reggia
la lingua mia in assennando stolti.
Dio demostrando, mostrarò primamente
che libri tutti quasi in tutte scienze,
provando lui, son soie carte, quando
parlan de lui, laudando;
e testimon son soi populi totti,
Onni lingua, onni schiatta, e onni gente
conferman lui, destrutte altre credenze;
e non sol nescienti omin selvaggi,
ma li più molto e maggi
dei filosofi tutti e altri dotti.
E ciò ch'afferman totti,
come Tulio dice, è necessaro;
perché, sì com'el dice,
non saggio alcun Dio isdice;
e santi apresso, en cui non quasi conto,
o filosofi manti e saggi fuoro,
che con parole loro
non solo già, ma per vita el testaro.
Come donque omo chiaro
e saggio alcun contra parlar po ponto?
Dico anco a ciò che non visibil cosa
di nulla venne e non fece se stessa;
e se l'una da l'altra esser dicemo,
la prima unde diremo?
E, se principio dir volem non fusse,
tale opinion dico odiosa
a filosofi manti e saggi adessa;
e impossibele è che figlio sia
se non padre fu pria;
e se nullo pria, chi segondo adusse?
E se da omo om mosse,
fera da fera; e ciel da cui,
in cui orden, bellore
tale e tanto è valore?
È da om? No; né d'om vedem già maggio.
Chi sente bene e pensa e non stima
che padre un fusse prima,
che fu da nullo e cosa onne da loi,
el qual nei fatti soi
possente, bono, sommo si prova e saggio?
Cosa una pria mostrata, unde cos'è onne,
ch'è de necessità Dio dir dovemo,
mostramo apresso ciò: com'om poi morte
mal porta u ben forte.
Aristotel, Boezio e altri manti,
Senaca, Tulio ad un testimon sonne;
e per ragion, m'è viso, anche 'l vedemo.
Da poi non pagaria
lo minor cor che sia
tutt'esto mondo, come tali e tanti
pagar potene, quanti
hane intra sé? Ma tutti altri animali
in bisogno e 'n talento
hano qui pagamento.
Donque è fera d'om maggio e Dio più piace,
u loco è altro ove pagar om dea?
E non Dio bon serea,
se non loco altro; qui ricchi son mali,
miseri boni e penali;
giustizia, là parlando, in parte or tace.
Che sia loco altro appar, me pare, espresso,
e sto mondo esser ricco e sì bello,
ché ricche, care e dolze ed amorose
tante contene cose,
a pagando cor d'om son quasi nente.
Qual, tanti e tali pagando, esser dea esso?
Dico ch'è 'n esto amanca, e ch'ello
ha d'alcun male onne suo ben laidito;
e ben, che ci è fenito
di grandezza, di tempo è pur sovente.
E se mal parvo om sente
tra grandi e molti beni, con può pagare?
Eh, no alma eternale
paga ben temporale,
né ben finito non finita voglia!
De necessità donque convene
che, for mal, tutto bene
nel loco sia, lo qual possa bastare
a cor d'om pago fare.
E tal è esso, u' sperian Dio n'acoglia.
Loco approvato, ove pagar dea bono,
diremo degian rei loco abitare?
No esser può già mai gauda malizia,
u' ben regge giustizia,
né bonità, u' malizi'ha podere.
Non con malvagi mai gauder bon pono:
sol dei bon donque esso bon loco appare.
E se per loro boni loco bono hano,
senza loco serano
malvagi? No, che pur den loco avere.
Ma qual dovem savere,
giustizia e l'orden nostro anche servando.
Com boni l'han bon tale
longe da onni male,
for d'ogni bon l'han rei, reo del tutto.
Lochi approvati e quali, u' son diremo;
el bono in ciel credemo,
a convito om con Dio e angeli stando;
e malvagi abitando
con demon tutti là sotterra e brutto.
Vescovo d'Arezzo e Conte magno,
in vostr'amenda metto
esto e mio tutto detto,
e mi vi dono apresso, in quanto vaglio
di fedel fede e amoroso amore,
fedel bon servidore;
e s'io la segnoria vostra guadagno,
en che manco remagno,
non mal torname bono e gioi travaglio.