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Giamboni, Bono
Il libro de' Vizî e delle virtudi

Capitolo XXI. De la cena rea.

La seconda cena si è detta cena rea; e questa è quando non si piglia per necessità, ma per vanagloria o per compiere i desiderî della gola. E però è detta rea questa cena, perché quando ne la cena ha molti mangiari di diversi sapori, lo stomaco si diletta in questo sapore e in quell'altro, sie che se l'uomo non è savio in temperar la volontade, mangia e bee di soperchio; per la qual cosa s'affoga il calore naturale, e non può ricuocere il cibo che è ito di soperchio nel ventre; e dacché non è ricotto non esce, anzi vi si corrompe entro, laonde s'ingenerano nel corpo gravissime e pericolose infermità. Onde credi tu che nascan tanti dolori di capo, tante torzion di ventre, tanti corrompimenti di tutti omori di corpo, se non del troppo mangiare? E però disse uno poeta: "De la lunga e gran cena si ingenera a lo stomaco gravissima pena: se tu vuogli esser lieve, fa che la tua cena sia breve".

- Anche è ria, perché quivi la lingua isfrenatamente favella; quivi si dicono bugie e parole di scherne; quivi ha canti e stormenti; quivi sono le femine di sozze cose richeste, e sono spesse volte concedute; quivi hae ogni cosa disfrenata. Certo, quando a cotale cena s'intende, Dio e il prossimo si offende. E questi cotali mangiari sono minacciati dal Profeta, e dice: "Guai a voi che vi levate la mattina a seguitare lo vizio della gola, e manicate e bevete di forza, e soprastatevi insino a vespero, e nell'opere di Dio non guardate: però ha sciampiato il ninferno il seno suo, e discenderannovi i grandi e' forti e li gloriosi del mondo a lui". E questa è forse quella cena che tu volei che la Fede ti desse; ma ella, conoscendo ch'era rea e abominata da' savi e minacciata da Dio, ce ne volle guardare.