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Alighieri, Dante
Vita Nova

16

Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle ogne dubitatione, e dubitare potrebbe di ciò che io dico d'Amore come se fosse una cosa per sé, e non solamente sustantia separata da materia, cioè intelligentia, ma sì come fosse sustantia corporale: la quale cosa, secondo la verità, è falsa, ché Amore non è per sé sì come sustantia, ma è uno accidente in sustantia. E che io dica di lui come se fosse corpo, ancora come se fosse uomo, appare per tre cose ch'io dico di lui. Dico che lo vidi venire: onde, con ciò sia cosa che venire dica moto locale, e localmente mobile per sé, secondo lo Phylosofo, sia solamente corpo, appare che io ponga Amore essere corpo. Dico anche di lui che ridea, e anche che parlava; le quali cose paiono essere proprie dell'uomo, e spetialmente essere risibile; e però appare ch'io ponga lui essere uomo. A cotale cosa dichiarare, secondo che è buono a presente, prima è da intendere che anticamente non erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amore certi poete in lingua latina; tra noi, dico _ avegna forse che tra altra gente adivenisse (e adivegna ancora, sì come in Grecia) _ non volgari, ma litterati poete queste cose tractavano. E non è molto numero d'anni passati che apparirono prima questi poete volgari; ché dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proportione. E segno che sia picciolo tempo, è che se volemo cercare in lingua d'oco e in quella di sì, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per .cl. anni. E la cagione per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì. E lo primo che cominciò a dire sì come poeta volgare si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, alla quale era malagevole d'intendere li versi latini. E questo è contra coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d'amore. Onde, con ciò sia cosa che alli poete sia conceduta maggiore licentia di parlare che alli prosaici dictatori, e questi dicitori per rima non siano altro che poete volgari, degno e ragionevole è che a·lloro sia maggiore licentia largita di parlare che agli altri parlatori volgari: onde, se alcuna figura o colore rectorico è conceduto alli poete, conceduto è alli rimatori. Dunque, se noi vedemo che li poete ànno parlato alle cose inanimate sì come se avessero senso o ragione, e fattele parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere: cioè che detto ànno, di cose le quali non sono, che parlano, e detto che molti accidenti parlano, sì come se fossero sustantie e uomini, degno è lo dicitore per rima di fare lo simigliante; ma non sanza ragione alcuna, ma con ragione la quale poscia sia possibile d'aprire per prosa. Che li poete abbiano così parlato come detto è, appare per Virgilio, lo quale dice che Iuno, cioè una dea nemica delli Troiani, parlò ad Eolo, signore delli vènti, quivi nel primo dello Eneida «Eole, nanque tibi», e che questo signore le rispuose quivi «Tuus, o regina, quid optes explorare labor; michi iussa capessere fas est». Per questo medesimo poeta parla la cosa che non è animata alle cose animate, nel secondo dello Eneida quivi «Dardanide duri». Per Lucano parla la cosa animata alla cosa inanimata quivi «Multum, Roma, tamen debes civilibus armis». Per Oratio parla l'uomo alla sua scientia medesima sì come ad altra persona; e non solamente sono parole d'Oratio, ma dicele quasi recitando lo modo del buono Homero, quivi nella sua Poetria «Dic michi, Musa, virum». Per Ovidio parla Amore, sì come se fosse persona umana, nel principio del libro ch'à nome Libro di Remedio d'Amore quivi «Bella michi, video, bella parantur, ait». E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello. E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che né li poete parlavano così sanza ragione, né quelli che rimano deono parlare così non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rectorico, e poscia domandato non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E questo mio primo amico e io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente.