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Alighieri, Dante
Rime

46. Così nel mio parlar vogliesser aspro

Così nel mio parlar vogliesser aspro
comè negli atti questa bella pietra
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona dun diaspro
tal che per lui, o perchella sarretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda.
Ella ancide, e non val chuom si chiuda
né si dilunghi da colpi mortali
che, comavesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascunarme,
sì chio non so da lei né posso atarme.

Non truovo schermo chella non mi spezzi
né luogo che dal suo viso masconda,
che come fior di fronda
così della mia mente tien la cima.
Cotanto del mio mal par che si prezzi
quanto legno di mar che non lieva onda;
e l peso che maffonda
è tal che nol potrebbe adequar rima.
Ahi angosciosa e dispietata lima
che sordamente la mia vita scemi,
perché non ti ritemi
sì di rodermi il cuore a scorza a scorza
comio di dire altrui chi ti dà forza?

Ché più mi triema il cuor qualora io penso
di lei in parte ovaltri gli occhi induca,
per tema non traluca
lo mio pensier di fuor sì che si scopra,
che non fa de la morte, chogni senso
con li denti dAmor già mi manduca;
ciò è che 'l pensier bruca
la lor vertù, sì che n'allenta lopra.
E mha percosso in terra e stammi sopra
con quella spada ondelli uccise Dido
Amore, a cu io grido
merzé!, chiamando, e umilmente il priego;
ed e dogni merzé par messo al niego.

Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida
la debole mia vita esto perverso,
che disteso a riverso
mi tiene in terra dogni guizzo stanco.
Allor mi surgon nella mente strida,
e l sangue chè per le vene disperso
correndo fugge verso
il cuor, che l chiama, ondio rimango bianco.
Egli mi fere sotto il lato manco
sì forte, che l dolor nel cuor rimbalza:
allor dico: Segli alza
unaltra volta, Morte mavrà chiuso
anzi che l colpo sia disceso giuso.

Così vedessio lui fender per mezzo
il cuore a la crudele che l mio squatra,
poi non mi sarebbe atra
la morte, ovio per sua bellezza corro:
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo,
questa scherana micidiale e latra.
Oïmè, ché non latra
per me, comio per lei, nel caldo borro?
ché tosto griderei: I vi soccorro!;
e farel volentier, sì come quelli
che ne biondi capelli
chAmor per consumarmi increspa e dora
metterei mano, e piacerele allora.

Sio avesse le belle trecce prese
che son fatte per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza
con esse passerei vespero e squille;
e non sarei pietoso né cortese,
anzi farei comorso quando scherza;
e sAmor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor negli occhi, ondescon le faville
che minfiamman lo cor chio porto anciso
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face,
e poi le renderei, con amor, pace.

Canzon, vattene ritto a quella donna
che mha rubato e morto, e che minvola
quello ondi ho più gola,
e dàlle per lo cor duna saetta,
ché bello onor sacquista in far vendetta.