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Alighieri, Dante
Convivio

X

Dimostrata è la sentenza di quella parte nella qual parla l'anima, cioè l'antico pensiero che si corruppe. Ora seguentemente si dee mostrare la sentenza della parte nella qual parla lo pensiero nuovo avverso; e questa parte si contiene tutta nel verso che comincia: Tu non se' morta. La qual parte, a bene intendere, si vuole in due partire: ché nella prima parte nella seconda parte, che comincia: Mira quant'ell'è pïetosa. Dice adunque, continuandosi all'ultime sue parole: Non è vero che tu sie morta; ma la cagione per che morta ti pare essere, si è uno smarrimento nel quale se' caduta vilmente per questa donna che è apparita: – e qui è da notare che, sì come dice Boezio nella sua Consolazione, «ogni sùbito movimento di cose non aviene sanza alcuno discorrimento d'animo» –; e questo vuol dire lo riprendere di questo pensiero. Lo quale si chiama spiritel d'amore a dare a intendere che lo consentimento mio piegava inver di lui; e così si può questo intendere maggiormente, e conoscer la sua vittoria, quando dice già anima nostra, faccendosi familiare di quella. Poi, com'è detto, comanda quello che far dee quest'anima ripresa per venire lei a sé, e lei dice: Mira quant'ell'è pïetosa e umìle: ché sono propio rimedio alla temenza, della qual parea l'anima passionata, due cose, e sono queste che, massimamente congiunte, fanno della persona bene sperare, e massimamente la pietade, la quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo. Per che Virgilio, d'Enea parlando, in sua maggiore loda pietoso lo chiama. E non è pietade quella che crede la volgare gente, cioè dolersi dell'altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia ed è passione; ma pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia ed altre caritative passioni. Poi dice: Mira anche quanto è saggia e cortese nella sua grandezza. Or dice tre cose le quali, secondo quelle che per noi acquistar si possono, massimamente fanno la persona piacente. Dice saggia: or che è più bello in donna che savere? Dice cortese: nulla cosa sta più in donna bene che cortesia. E non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; e larghezza è una speziale, e non generale, cortesia! Cortesia e onestade è tutt'uno: e però che nelle corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, sì come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello vocabulo dalle corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo se oggi si togliesse dalle corti, massimamente d'Italia, non sarebbe altro a dire che turpezza. Dice «nella sua grandezza». La grandezza temporale, della quale qui s'intende, massimamente sta bene acompagnata colle due predette bontadi, però ch'ell'apre lume che mostra lo bene e l'altro della persona chiaramente. E quanto savere e quanto abito virtuoso non si pare, per questo lume non avere! e quanta matterìa e quanti vizii si discernono per avere questo lume! Meglio sarebbe alli miseri grandi, matti, stolti e viziosi, essere in basso stato, ché né in mondo né dopo la vita sarebbero tanto infamati. Veramente per costoro dice Salomone nello Ecclesiaste: «E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo sole, cioè ricchezze conservate in male del loro signore». Poi sussequentemente impone a lei, cioè all'anima mia, che chiami omai costei sua donna, promettendo a lei che di ciò assai si contenterà, quando ella sarà delle sue addornezze acorta; e questo dice quivi: Ché se tu non t'inganni, tu vedrai. Né altro dice infino alla fine di questo verso. E qui termina la sentenza litterale di tutto quello che in questa canzone dico parlando a quelle intelligenze celestiali.